Giovedì 25 Aprile 2024

Don Pietro Savastano e don Francesco Gallo, la camorra chiede il pizzo nella casa dei “due boss”: tre arresti

Torre Annunziata, 17 luglio 2014 – Il colore dominante è quello dell’oro. Il cristallo dei lampadari campeggia in ogni stanza. Gli stucchi sono quelli giusti. Anche gli affreschi provocano il giusto pugno nell’occhio. Benvenuti a casa del boss. Dei due boss. Quello della serie tv Gomorra. E quello di Torre Annunziata. Fiction sulla malavita e malavita reale coincidono nel bunker del rione Penniniello a Torre Annunziata. Per raccontare, anche qui, storie di camorra romanzata che s’intrecciano a un’inchiesta vera per estorsione che ha portato all’emissione di una ordinanza a carico del boss Francesco Gallo, capo indiscusso del cartello del Gallo-Cavalieri, e dei suoi genitori, Raffaele Gallo e Annunziata De Simone. L’anno è il 2013. La produzione Cattleya individua la villa dei Gallo. E’ il set perfetto per ambientare le scene della casa di don Pietro Savastano, il padrino di Gomorra la serie. Vengono contattati i proprietari, la famiglia Gallo, appunto, con la quale viene stipulato un contratto d’affitto per trentamila euro da pagare in cinque rate da seimila. Cominciano le riprese. Ma tra scene di finti arresti, ecco che ne arriva uno reale. In gabbia ci finisce proprio il boss, Francesco Gallo. Associazione camorristica, manco a dirlo, è l’accusa. La stessa indagine che l’ha condotto in cella, fa luce anche su quella villa. I Gallo sono nullatenenti, nulla spiega quel tenore di vita né la villa sfarzosa. Che viene sequestrata e affidata a un amministratore giudiziario. Da quel momento in avanti la Cattleya è tenuta a versare il canone d’affitto allo Stato e non più ai Gallo. Che non ci stanno. Contattano i vertici Cattleya e gli intimano di continuare a pagare un loro emissario. Dunque, la rata raddoppia. Raddoppierebbe. Condizionale d’obbligo perché, dalle accuse formulate dalla Procura antimafia, la società, anziché denunciare, paga anche la rata al clan. Mentre i vertici della produzione, rappresentati da Matteo de Laurentiis, negano l’estorsione ostacolando le indagini. Non è tutto. Dalle intercettazioni emerge anche l’episodio di una mazzetta pagata a due vigili urbani di Napoli per consentire di girare alcune scene in strade del capoluogo escluse dall’ordinanza sindacale. Riscontri alla mano, i magistrati chiedono nove misure cautelari: i tre Gallo, i due vigili e quattro amministratori Cattleya, compreso de Laurentiis, nei cui confronti viene formulata l’ipotesi di reato di favoreggiamento aggravato dal fine di agevolare una associazione camorristica. Ma il gip rigetta, e alla fine vengono arrestati solo il boss già in carcere e i suoi genitori. Nonostante una intercettazione nella quale De Laurentiis, pur smentendo di aver subito ricatti, sostiene di non temere per sé, ma per le 70 persone impegnate nelle riprese. Ma il gip accoglie la misura nei confronti dei soli Gallo, giustificando il comportamenti dei manager Cattleya, sostenendo che il pagamento della rata anche al clan e il favoreggiamento personale sono giustificati dal clima di intimidazione “determinato dalla consapevolezza delle vittime della provenienza della richiesta”.

(giuseppe porzio)

 

 

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