Napoli, 19 luglio 2012- “Augusto La Torre, mi odia, ho sempre subìto le sue richieste estorsive. Mi odia, perché l’ho denunciato, ma posso dimostrare che la mia azienda non deve la sua forza al sostegno della camorra.” Si è difeso per 4 ore dinanzi ai magistrati, Giuseppe Mandara re della mozzarella, in carcere da due giorni con l’accusa di avere legami con il clan dei casalesi. Un colloquio lungo in cui Mandara ha parlato soprattutto di vendetta nei confronti della sua azienda e soprattutto di soldi, quei 700 milioni delle vecchie lire che, secondo il pentito il Clan La Torre aveva versato a Mandara per risanare l’azienda in difficoltà. “Tutte menzogne”, ha spiegato ai magistrati l’imprenditore. «Quando nel 1983 fu comprata la Mandara, l’acquisto fu formalizzato attraverso l’emissione di cambiali ipotecarie. Se fosse vero il racconto di Augusto La Torre, avremmo avuto soldi in contanti per riuscire a risanare l’azienda. E questo non è vero, in quanto abbiamo pagato fino all’ultima cambiale» Perché dunque le accuse del pentito? Secondo Mandara ci sarebbe una ragione precisa. Nel 2003, La Torre iniziò a collaborare con la giustizia, ma di fatto fece recapitare una lettera a lui e ad altri imprenditori di Mondragone, nella quale chiedeva una tangente da 10mila euro e un fisso di mille euro al mese, in un pizzino che poi ordinò doveva essere bruciato. . Biglietto invece consegnato da Mandara alla Dda di Napoli. Il resto è storia, con la revoca del programma di protezione a La Torre che voleva rifondare il clan, nella doppia veste di boss e collaboratore di giustizia.Questa la ricostruzione difensiva del re della mozzarella mentre vanno avanti le indagini del pool anticamorra guidato dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, dai pm Catello Maresca e Milita che indagano anche sulla produzione di alimenti non in regola.
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