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Martedì 15 Ottobre 2024

“Tutti fuori”. Napolitano va in carcere e invoca amnistia e indulto, ma per farlo “c’è bisogno che il Parlamento non si sciolga”. Altrimenti…

 

Napoli, 28 settembre 2013 – Certi applausi così non li sentiva dal 20 aprile dell’anno che corre. Sembra passato un secolo. Lui, mastro Giorgio, a quei tempi lanciava moniti e alzava il tono guardando negli occhi i rappresentanti del popolo italiano, quegli stessi che lo avevano appena rieletto per il secondo mandato consecutivo. Quegli stessi incapaci di una riforma all’attuale legge elettorale. Il Porcellum, che ancora resiste e col quale, chissà, si andrà presto al voto. E loro, i criticati parlamentari, applaudivano, eccome se applaudivano. E si spellavano le mani, e gli occhi di alcuni si riempivano di lacrime. Cinque mesi e poco più da allora. Cambia la scena, cambiano gli attori. Protagonista sempre lui, Giorgio Napolitano, il Capo dello Stato al mandato bis. Ed ecco echeggiare gli applausi di chi lo ascolta. Quelli erano parlamentari, questi sono carcerati. A quelli li incitò a far bene. A questi promette che parlerà a quelli, i parlamentari, perché si muovano con amnistia, indulto, insomma perché questi escano di galera. Così si risolve il sovraffollamento delle carceri. E il governo delle larghe intese farà un’altra cosa buona: dopo aver trattato di omofobia, dopo aver trattato di femminicidio, quando magari sarebbe bastato applicare tutto ciò che prevede il codice penale, farà in modo che chi ha commesso il primo, ma pure il secondo dei reati, possa godere di uno sconticino sulla pena. Proprio così, il Presidente che dispone e disfa. E dire che qui dove ha promesso libertà, tra le mura più vecchie che antiche del carcere di Poggioreale, ha rischiato di non arrivarci proprio. Dopo la prima commemorazione per il settantennio delle “quattro giornate”, dal Maschio Angioino è partito il breve viaggio direzione penitenziario di Poggioreale. Ma ecco che si teme per un’auto parcheggiata in maniera stravagante sospetta in una strada adiacente al carcere. Arrivano gli artificieri, l’ispezione dà esito negativo. L’auto era stata rubata la notte prima, ecco la proprietaria, gliela riconsegnano, la donna gioisce. Ma questa è un’altra storia. Niente contrattempo e Napolitano può andare in galera, in senso figurato s’intende. E’ qui che prende parola e sottolinea “la necessità di una continuità” nel governo del paese, pronuncia il suo “no”, piccato, a “continue campagne elettorali”. Memore, forse, che la grande, pardon, la larga intesa l’ha voluta lui, chissà quanto consapevole della sua durata. Ma il colpo di teatro sta per arrivare. Nel penitenziario dove il numero medio dei detenuti, come ha ricordato il direttore Teresa Abate, è di 2600, ma dove si toccano punte di 2900, Napolitano ci è arrivato accompagnato dal sindaco de Magistris, dalla garante regionale dei detenuti Adriana Tocco, dal provveditore Tommaso Contestabile e dal capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburrino. Qui, per voce del detenuto Domenico Romano, ha ricevuto “l’abbraccio virtuale dei reclusi di Poggioreale”, un po’ come si dice nelle dediche via radio. Quindi, annunci e applausi nella cappella di Poggioreale. Eccolo invitare il Parlamento a “valutare fino in fondo la necessità e la possibilità di un indulto o amnistia”. E giù applausi e ovazioni, come quel 20 aprile. Quelli erano deputati, questi detenuti. In comune, hanno il prefisso. “Ho pronto un messaggio per il Parlamento”, argomenta il presidente. “Se non ritenga di prendere in considerazione un provvedimento di clemenza”. E ancora applausi, proprio come quel giorno di primavera. E non contento, Napolitano annuncia: “La  maggioranza di due terzi imposta dalla legge non deve essere un freno ad esaminare fino in fondo la necessità di questo provvedimento”.  Anche perché, sottolinea ancora, “non sono solo gli obblighi giuridici derivanti dalle sentenze europee a richiedere un  intervento sulle carceri, “ma un imperativo umano e morale”. Tutto dipende, giova ricordarlo, e lui lo ricorda, da “una maggiore serenità politica”. E allora il cerchio si chiude sulla crisi che lui, Napolitano, non vuole affatto. La chiosa è nel “Paese che ha bisogno che il  Parlamento discuta e lavori, non che si sciolga”. Dunque, se non si scioglie, allora si può mettere mano agli sconti di pena. Altrimenti. Meglio non pensarci. A proposito, oggi si celebrano le “quattro giornate di Napoli”, si evoca la ribellione dal nazifascismo. Liberi dalla dittatura, liberi dalla galera. Lo slogan, più o meno, potrebbe essere questo.

 

(giuseppe porzio)

 

 

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