Giovedì 18 Aprile 2024

“Era a conoscenza dell’attività di riciclaggio sul Lungomare”, i pm antimafia chiedono di rivedere il caso Pisani

pisaniNapoli, 7 maggio 2014 – Dodici motivi argomentati in ottanta per chiedere di riesaminare il caso Pisani. E’ la mossa attraverso la quale i pm della Dda di Napoli, Sergio Amato ed Enrica Parascandolo, chiedono di rimettere in piedi il processo a carico dell’ex capo della squadra Mobile di Napoli Vittorio Pisani. Il funzionario di polizia era stato accusato di aver favorito il suo amico imprenditore Marco Iorio, ma è stato poi assolto da tutte le accuse, a dicembre, a conclusione del processo di primo grado. Per i pm, Pisani “non ha indagato su di lui e sui ristoranti da lui gestiti sul lungomare con Bruno e Massimo Potenza, figli di un noto contrabbandiere e poi usuraio”. Scrivono nel dettaglio i magistrati: “A dire del Tribunale è provato che l’ex capo della Mobile era amico di Marco Iorio, che era a conoscenza dell’origine illecita dei capitali di Bruno Potenza, che era a conoscenza del fatto che Iorio aveva riciclato nei suoi ristoranti i capitali di Bruno Potenza e che, nel redigere le annotazioni di servizio indirizzate alla Procura omise di scrivere quanto sapeva. Ciò nonostante, il fatto non costituirebbe reato”.

Nei motivi di appello, i pm tornano su intercettazioni telefoniche tra vari imputati, molti dei quali assolti, interpretandone nuovi passaggi. Un dialogo in particolare è sotto esame, quello tra l’imprenditore e l’autista personale del funzionario, del 21 giugno 2011. C’è una parola non comprensibile che i pm, ascoltando dal vivo la telefonata, asseriscono sia la frase “il tuo salvatore”. Per l’accusa, il “salvatore di Iorio è Pisani”. Ancora: i pm chiedono che la Corte d’Appello “disponga la confisca dei beni già a suo tempo oggetto di sequestro”, e dopo il verdetto di primo grado già restituiti a Iorio (che è stato condannato per riciclaggio, ma assolto dall’associazione per delinquere).  Solo lo scorso marzo, il deposito delle motivazioni della sentenza: in cui è scritto che il processo al superpoliziotto “ha finito per trasformarsi in un processo all’intero percorso lavorativo dell’alto funzionario, alle sue metodiche e scelte operative, alla sua gestione dei rapporti professionali e non, alla sua carriera e moralità: in altre parole alla sua stessa persona e di riflesso all’importante ufficio cui era preposto”.

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